Una notizia terribile, inattesa. Cagliari è scossa, piombata improvvisamente nello sconforto. La morte di Gigi Riva è stata un colpo basso così repentino che ha destabilizzato tanti, anche chi non aveva avuto il privilegio di vederlo dal vivo quando, nel corso della carriera, inanellava record che tutt’oggi lo tengono ai vertici. Gianni Brera gli diede quel soprannome che lui si è portato dietro per sempre: essere “Rombo di tuono” non è una banalità, è un marchio che significa avere a disposizione qualità rare. Per Gigi, Cagliari e il Cagliari erano una ragione di vita. Dopo i primissimi tentennamenti lui, lombardo di Leggiuno, si era immedesimato nel tessuto sociale della città tanto da apparire più sardo di tanti sardi. Il suo attaccamento alla maglia quasi viscerale. Senza mai rinnegarla, anche rinunciando a sontuose offerte che arrivavano dalla penisola. E dopo la conclusione di una carriera costellata da gioie e soddisfazioni, ma anche da dolorosi infortuni che tuttavia non lo hanno mai piegato, ha voluto ripagare la gente di Sardegna optando per stabilirsi nell’isola. Sono arrivati gli anni nei quali aveva intrapreso la strada della tv, opinionista sempre preparato e preciso nelle sue valutazioni. Poi i sei mondiali come accompagnatore della Nazionale, per la quale era un punto di riferimento irrinunciabile. Però sempre rientrava all’ovile, nella sua casa di Cagliari, il solo luogo dove poteva rigenerarsi e ripartire. E dove, non appena chiusa la carriera sportiva, fondò la “scuola calcio Gigi Riva”, che ha sfornato tutta una serie di calciatori in erba, uno su tutti Nicolò Barella. Ha dato tanto alla causa sarda e per questo motivo l’attuale presidente della società rossoblù, Tommaso Giulini, ha fortemente voluto e fatto pressione per dedicargli il nuovo stadio che crescerà sulle ceneri del vecchio Sant’Elia, la struttura nata contemporaneamente allo scudetto conquistato dal Cagliari nel lontano 1970 e dove si svolsero le gare dell’unica partecipazione sarda alla Coppa dei Campioni. Con la sua dipartita Riva non lascia un vuoto, ma una voragine. I suoi 35 gol in 42 partite in maglia azzurra sono un traguardo difficilmente raggiungibile in tempi moderni. Così come le 164 reti in 315 gare con il Cagliari dal 1963 al 1977. Si chiude un capitolo per un personaggio che ha saputo farsi voler bene, oltre che per indubbie e innate qualità balistiche, anche come persona dalle spiccate doti umane. Sempre attento anche alle esigenze dei suoi vecchi compagni scudettati, con i quali aveva continuato a frequentarsi non negando mai una parola di conforto soprattutto a chi, come Nenè, era piombato nel vortice di una malattia incurabile, che lo ha condotto alla morte.
SERGIO DEMURU
22 Gennaio 2024